Pubblicato da: CR | 8 settembre 2014

Il delirio occidentalista di Ezio Mauro

Miguel Martinez ha dedicato un appropriato commento, “L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro“, al delirio occidentalista del direttore di Repubblica.

L’intuizione di fondo che ha dato il nome a questo mio blog, “In nome dell’Occidente”, continua a rimanere di inquietante attualità. A formare l’opinione comune, a partire da quella dei politici, è una macchina propagandistica al servizio di un’ideologia totalitaria. “Occidente” designa oggi un insieme di poteri senza scrupoli, dalle ambizioni illimitate, e fuori controllo.

Ormai abbiamo persino perduto il conto delle guerre e dei disastri provocati dalla nostra aggressività sfrenata, come dimostra l’insensata chiusa del fondo di Mauro: “Anche Vladimir Putin dovrebbe riflettere sulla sfida islamista, domandandosi per chi suona la campana, magari recuperando negli archivi del Cremlino la lettera che l’ayatollah Khomeini scrisse all’ultimo segretario generale del Pcus nel gennaio del 1989: “È chiaro come il cristallo che l’Islam erediterà le Russie“. “

Sì, diciamoglielo a loro, che hanno combattutto la rivolta in Cecenia, “noi” che abbiamo sostenuto i jihadisti più radicali in Afghanistan, Bosnia, Libia e Siria (e nella Cecenia stessa, ça va sans dire), e che abbiamo abbattuto i regimi laici in Iraq e Libia. Tra l’altro la Russia collabora attivamente con gli Usa e la Nato in Afghanistan, consentendo il transito dei rifornimenti militari sul proprio territorio.

L’esito dell’intervento Nato/UE in Ucraina, se continua la nostra pazzia, è facile da prevedere: la rivitalizzazione di revanscismi etnici e di un nucleo di forze neonaziste nel cuore dell’Europa, dalle conseguenze potenzialmente disastrose, se la recente “sorprendente” affermazione dell’ISIS può insegnarci qualcosa. Apprendisti stregoni, veramente.

Cosa sarebbe oggi l’ISIS nel medio oriente se Assad fosse caduto? Meno male, anche per “noi”, che la Russia, qualche volta, riesce ad opporsi ai bombardamenti, destabilizzazioni, guerre civili e golpe (l’ultimo appunto in Ucraina) con cui esportiamo la civiltà occidentale nel mondo.

Mimmo Porcaro, un esponente “eterodosso” di Rifondazione Comunista, ha scritto un articolo  importante: “Come unirsi contro l’Unione?”. Si tratta di una ulteriore elaborazione dell’autore attorno al problema del nuovo soggetto politico “di cui abbiamo disperatamente bisogno”, capace di governare i contraccolpi di un’uscita (voluta o subita) dell’Italia dall’euro e far uscire il paese dalla crisi; una ricerca che da tempo impegna Porcaro con analisi sempre interessanti (p.e. vedi “Loro hanno due fronti, noi dobbiamo costruire il nostro“, o “Vocazione mediterranea e socialismo pluralista.  Idee per l’Italia che verrà!“, entrambi del 2012).

Ma questa volta, per la prima volta, vedo accennati in un articolo dedicato a questo tema quelli che considero due principi fondamentali per un progetto politico oggi in Italia. Porcaro non è del tutto esplicito, e bisogna tenere presente il fatto che si rivolge innanzitutto ad un pubblico di tipo ben preciso, ma il senso del suo articolo mi sembra chiaro:

1) un nuovo soggetto capace di affrontare la crisi e guidare l’Italia fuori dall’euro sarà anche il soggetto candidato a governare il dopo; sono fragili e poco credibili le proposte fondate sull'”uniamoci ora per l’emergenza, poi ci dividiamo di nuovo” (la cosiddetta ipotesi CLN ispirata alla guerra partigiana);

2) un nuovo soggetto si costruisce sulla base del “chi c’è, c’è”, inaugurando una nuova storia, non unendo spezzoni del vecchio ceto politico fallimentare, legato a rendite di posizione associate a vecchie cordate e identitarismi.

Corollario meno originale ma altrettanto importante, cui l’articolo dedica ampio spazio, è il seguente:

3) occorre ricostruire un’alleanza e un senso di solidarietà tra forze sociali, e questo richiede una visione strategica che tenga conto degli interessi fondamentali di tutte le parti i causa, a partire da imprenditori e lavoratori, e un mutamento di atteggiamento da parte di tutti;

Lo spazio maggiore l’articolo lo dedica all’esigenza di ripensare le categorie sinistra/destra. La mia idea in proposito è semplice, e già che ci sono la aggiungo come quarto elemento in questo elenco di “principi”:

4) la distinzione sinistra/destra può essere importante per le storie dei singoli partecipanti, ma non può essere usata per caratterizzare il nuovo soggetto.

Oggi come oggi queste categorie designano differenze “antropologiche” più che politiche, e possono avere un interesse al massimo storico o politologico; ma sono inutili, anzi dannose per il compito di reinventare e ricostruire una nuova politica, sopra le macerie lasciate dalla vecchia.

Porcaro, invece, ribadisce l’attualità di queste categorie e si sforza di ridefinirle in modo utile per il progetto che ha in mente. La mia impressione (o speranza?) è che Porcaro, più che ribadire vecchie fedeltà, sia alla ricerca di un linguaggio e di schemi che consentano a settori della vecchia sinistra di transitare verso qualcosa di nuovo.

Finora, forse anche perché siamo in agosto, l’articolo mi sembra abbia suscitato una eco molto debole negli ambienti “di sinistra” cui è soprattutto rivolto. Solo sul blog di Alberto Bagnai, che ha rilanciato l’articolo di Porcaro, si è sviluppato un dibattito, nel quale però mi sembra siano sottovalutate – forse perché date per scontate da molti – le novità specifiche che ho voluto sottolineare in questo post.

Molto ci sarebbe da dire ancora su questo articolo, e in generale sulla stimolante produzione di Porcaro, sicuramente ci sarà occasione per tornarci sopra.

Quello che è difficile da digerire non è tanto la sconfitta del M5S (per chi come me l’ha votato), e per la quale si possono trovare tante ragioni, quanto l’incredibile vittoria di Renzi. Lui stesso avvertiva nei giorni precedenti le elezioni che il risultato non avrebbe influito sul governo nazionale, e che avrebbe considerato una vittoria un punto in più del M5S.

E invece ci ritroviamo con un 40% che pare un incubo. Come d’incanto, una situazione politica aperta e in movimento si è stabilizzata. Un ceto politico che sembrava alle corde ha ricevuto una specie di legittimazione, l’elettorato sembra aver individuato un soggetto cui affidare le sorti del paese.

E’ forse il massimo trionfo della capacità dei media di compiere profezie auto-avverantesi. Questo boy scout democristiano, sindaco di Firenze per neanche un mandato, noto solo per aver proibito l’attività dei lavavetri, è stato battezzato “enfant prodige” e “cavallo di razza” da tutti i commentatori dei principali media; gli iscritti del Pd sono stati convinti che solo con lui avrebbero potuto vincere; e infine gli italiani sono stati convinti che era l’ultima spiaggia per il paese. E non ha ancora fatto nulla! Berlusconi almeno, prima di “scendere in campo” aveva fondato un impero finanziario e mediatico, e aveva avuto grandi successi come presidente del Milan.

Il 20% di Grillo e il 40% di Renzi vanno letti insieme. I due rottamatori, pur nell’arretramento del primo, stanno dando vita ad un bipolarismo che mi ricorda un po’, se si dovesse stabilizzare, quello Dc-Pci che tanto a lungo ha condizionato il sistema politico italiano. Da un lato un partito-perno del regime circondato da una corte di satelliti più o meno autonomi, dall’altro un partito permanentemente votato e rassegnato all’opposizione.

Attorno al Pd, nuovo partito-regime, gravitano l’Ncd con cui governa, Berlusconi che pare legato a Renzi da accordi inconfessabili, l’area Tsipras/Sel/Prc che si porrebbe in questa analogia come l’equivalente del Psi-Psdi (a partire dalle divisioni interne e dall’inconcludenza), e l’area Monti-Casini che ricorda Malagodi e La Malfa; mentre sull’altro versante Fratelli d’Italia e Lega si dividono in forme aggiornate quello che era uno spazio “anti-sistema” (ma non troppo) occupato dal Msi, oscillando tra declamazioni anti-euro (sacrosante, ma più simboliche che concrete), retoriche di destra e partecipazioni alla casta.

A parte le analogie, più o meno azzeccate o utili, la domanda é: si tratta di un equilibrio stabile? Spero di no, ma temo di sì. Tutto è relativo: un equilibrio instabile può durare per decenni, come proprio la Dc ci ha dimostrato, se non c’è un’alternativa capace di attrarre larghe fasce della popolazione e spezzare legami spesso interessati e un’egemonia di pensiero, di fiducia e soprattutto di paure.

E qui veniamo al M5S. La discrepanza tra sondaggi ed exit poll da un lato, e risultati dall’altro, può essere spiegata in tre modi: sondaggi inaffidabili; brogli su larga scala; un attacco di panico che avrebbe colpito milioni di italiani all’ultimo momento, all’idea che il M5S veramente rischiava di vincere. Io escluderei i primi due casi; non credo a brogli in questo caso, e i sondaggi elettorali sono considerati ormai tanto attendibili che la discrepanza con i risultati è un criterio usato dalla “comunità internazionale” per decidere chi bombardare, o quale “rivoluzione colorata” sostenere (che io sappia, gli unici casi in cui hanno fallito riguardano elezioni condotte negli Usa, utilizzando non a caso macchine elettroniche incontrollabili). Sono invece personalmente a conoscenza di casi di persone andate al seggio per votare M5S, e che nella cabina hanno cambiato idea e votato Pd.

Questo voltafaccia costituisce, per il M5S, una dura sconfitta, al di là dell’arretramento elettorale; vuol dire che gli italiani, nel momento di massima disponibilità al cambiamento, hanno da un lato respinto l’alternativa che esso gli offriva, e dall’altro hanno scelto, in massa, Renzi, “uomo nuovo”, ma a differenza di Grillo, pragmatico e costruttivo (nella costruzione mediatica di cui sopra); vuol dire che una fase si è chiusa, un progetto ha trovato il suo limite.

Gli italiani hanno compiuto una scelta, e sarà molto più difficile, almeno per un po’, renderli nuovamente disponibili a considerare nuove ipotesi. Sarà invece più facile, con la complicità dei media, scaricare i prossimi inevitabili peggioramenti dell’economia sui mali pregressi, le “resistenze conservatrici”, le “riforme” ancora non fatte, ecc. Insomma, risultati alla mano, il problema più grave non è che molti non hanno votato M5S, bensì quello che molti hanno votato Pd.

La prima cosa che deve fare ora il M5S è decidere se vuole vivere di rendita, adattandosi di fatto alla prospettiva di una  opposizione anche di lungo periodo, o cercare nuovi modi per scardinare gli equilibri esistenti. In questo secondo caso non bastano correzioni di rotta al M5S, occorre una vera rifondazione del suo modo di essere e di proporsi. L’alternativa fondata su onestà, buona volontà, internet e ricambio politico non è risultata sufficiente, di fronte al fenomeno mediatico Renzi, per elettori più pavidi, disinformati e condizionabili del previsto. Ma qui si va un terreno politico, progettuale e organizzativo che non riguarda più in particolare il M5S, e a cui cercherò di dedicare i prossimi post.

Comunque vada, bisogna riconoscere che Grillo è stato grande nella sconfitta[1], e ringraziarlo per quello che ha fatto; molto di quello che ha fatto era indigesto a chi proveniva da esperienze di impegno politico organizzato, come nel mio caso, ma non sarebbe corretto valutare lo sforzo che ha compiuto in questi anni fuori da una considerazione del contesto in cui ha operato: una società senza memoria storica, un movimento socialista (in senso lato) scomparso dalla scena, un mondo “internettista” ricco di informazioni e interpretazioni, ma anche brulicante di sottoculture, un regime italiano tanto morbido e sconclusionato in apparenza quanto torvo e duro quando i suoi interessi vengono messi in discussione (vedi il caso della TAV in Val di Susa), una stampa finanziata ed allineata al regime, un pensiero unico sostanzialmente dominante in tutto l’Occidente e non solo, una società spoliticizzata, ecc.

I risultati elettorali ci dicono che bisogna far di meglio, ma l’esperienza, anche degli altri paesi, ci dice anche che sarà molto difficile riuscirci. Ma intanto almeno nel M5S sono cresciute forze che potranno giocare un ruolo importante nella nuova fase che è necessario aprire.

Nell’immediato, il problema credo sia quello di trovare il modo di formare almeno un cartello di forze disponibili a lottare contro le privatizzazioni già in cantiere, la legge elettorale antiparlamentare, la manomissione della Costituzione da parte di un parlamento comunque legittimo solo “per esigenze di continuità istituzionale”, il Fiscal Compact e l’ERF, e magari qualcos’altro ancora (forse anche un bel “no preventivo” alla guerra in Ucraina e un “no” al sostegno ai jihadisti in Siria). Questo cartello dovrebbe anche trovare dei “sì” da dire, a partire dal recupero della sovranità monetaria e della difesa dello stato sociale.

Insomma, un’opposizione comune, da sinistra a destra, contro le minacce più gravi e immediate alle regole elementari di una società democratica e alle esigenze vitali di un sistema economico avanzato, intanto che si avvia o procede la ricerca di nuovi soggetti politici e/o la trasformazione dei vecchi. Per impedire che il tetto ci crolli addosso, o che tutta la mobilia venga rubata, mentre riprogettiamo la casa.

[1] “è stato grande nella sconfitta”: mi riferivo a quel bel video autoironico, e che poteva essere il preludio di un’autocritica; ma tutto ciò che ha fatto dopo indica l’intenzione di accontentarsi di gestire la rendita di posizione, inoltre rafforza gli eterni sospetti su secondi fini perseguiti dal vertice del movimento; al momento, si potrebbe dire che il M5S “ha esaurito la sua forza propulsiva”; ma la partita non è chiusa.

pubblico qui un bel contributo di Aldo Zanchetta sulle prossime elezioni europee, ricco di informazioni e di spunti di riflessione

HO FATTO I COMPITI A CASA PRIMA DI ANDARE A VOTARE

Anch’io ho dovuto fare i compiti a casa. Dopo molte schede bianche alle politiche, questa volta voglio rifare la crocetta, e farla bene, non scarabocchiata di corsa. Perciò mi sono letto per giorni e giorni un sacco di commenti e analisi politiche, sull’Italia, sull’Europa e sull’universo mondo, visto da destra e da sinistra (si fa per intenderci).

Mi sono rinfrescato su come funziona l’Unione Europea, ho ripercorso la storia dei trattati, rivisto i vincoli imposti da questi, quelli presenti e quelli futuri. Insomma, ho fatto i compiti a casa con un “Bignami”. Ho poi ripensato a tanti eventi del nostro paese, a tanti incontri fatti, a tante conoscenze. Insomma, ho fatto il possibile per sperare di votare bene.

Una premessa necessaria

Tutti noi sappiamo che il parlamento europeo è, fra le varie istituzioni dell’U.E., quella che conta meno, avendo solo una funzione consultiva. Forse è per questo che ce lo fanno votare, come contentino e parvenza di democrazia. In tempi di competizione globale, mica si può lasciare il timone ai cittadini! Ci vogliono mani esperte, che diamine!

Tutte le altre istituzioni europee, quelle che hanno poteri decisionali o gestionali (Consiglio d’Europa, Commissione europea, Banca centrale etc.) non vengono votate dai cittadini, ma dai governi. E una in particolare, la BCE, la si è resa indipendente anche da questi. Una soluzione bizzarra per una Europa che si vuole essere “dei popoli”.

A scanso di equivoci, questo ce lo ha ricordato nei giorni scorsi il rappresentante di uno dei “poteri forti”, il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, in una intervista al Süddeutschen Zeitung: “C’è sempre stata scarsa partecipazione alle elezioni europee, dal 1979 ad oggi, ben prima della crisi finanziaria e della euro-crisi. I cittadini non erano così interessati perché queste (le elezioni europee) non hanno alcuna influenza sul loro quotidiano”. Del resto basta ricordare il “pilota automatico” di Mario Draghi: ”E’ la democrazia, è qualcosa che ci sta a cuore e i mercati lo sanno” rassicurando il “mercato” che “l’Italia prosegue sulla strada delle riforme”, perché ormai è stato inserito “il pilota automatico”.

Questo è il grado di fiducia e di libertà lasciato agli/alle cittadini/e europei/e. Allora è inutile andare a votare? Certo no, a mio parere, e cercherò di spiegarlo. Anzi, ho deciso di tornare a votare e spero che altrettanto facciano molti di quel 25% di “disaffezionati cronici”.

“Eurottimisti” vs “euroscettici”

Molti media (e i loro “ispiratori”) vorrebbero ridurre a questa alternativa l’essenza del processo elettorale europeo. Due aggettivi vaghi e confusi che fanno all’uopo: confondere le idee.

Gli eurottimisti (circa il 50%?) sono coloro che hanno ricavato benefici o che non hanno subito danni (per ora) oppure quelli che ancora non hanno capito che il progetto elaborato per la prima volta a Ventotene da Spinelli e Rossi è solo un lontano ricordo e che l’Europa reale di oggi, quella della “competizione globale”, è tutt’altra cosa. A disorientare ancora di più una parte consistente dell’elettorato sono una selva sigle e inglesismi incomprensibili (Fiscal compact, two pack, six pack, ERF, ESM etc).

Il gruppo “euroscettici” include al suo interno posizioni assai differenziate, da quelle di coloro che intendono “trattare” coi “poteri forti” (in primis la Merkel) per una Europa “meno austera”, a quelli che si pongono la domanda “euro si o euro no?”. O più radicalmente: “Europa si o Europa no”?

Quelli che lottano per un’Europa meno austera non si pongono il problema di un cambiamento dello stravolto progetto di un’Europa di “pace e giustizia”. Questa Europa, iper-liberista e iper-competitivista, non più democratica, in fondo sta loro bene, purché un po’ meno austera. E consenta con ciò un po’ di crescita. Amen. (Per saperne di più vedi Urgenti problemi di governance europea, di Sebastiano Fadda.

Quelli che si concentrano sull’euro, anche se con solide ragioni, anche loro non discutono le fondamenta che sono state costruite in corso d’opera. Una Europa monolitica, con forte accento tedesco, dove non c’è spazio per le culture, le economie, le pratiche sociali dei diversi nuclei componenti. Profumo d’impero.

Ogni buon muratore sa che fra ricostruire una casa semi-diroccata o finire di demolirla per ricostruirla ex-novo, la seconda soluzione è la più realista.

Il percorso neoliberista dell’Europa

Dal Manifesto di Ventotene al Fiscal Compact. Una trasformazione strada facendo da suscitare l’invidia del celebre mago Houdini! Il tutto attraverso una serie di trattati ciascuno compiente un passo verso lo smantellamento dei diritti sociali: Trattato di Roma (1957), Atto Unico (1987), Trattato di Maastricht (1992), Trattato di Lisbona (2009), Fiscal Compact (2012).

Siamo così giunti all’Europa “sociale” di oggi: Seimila suicidi in Grecia dall’inizio della crisi, uno sfratto ogni 15 minuti in Spagna, disoccupazione totale mai così alta (oltre il 12%), disoccupazione giovanile alle stelle (59% in Grecia, 53,9 in Spagna, 42,9 in Italia…).

Certo, a distanza di tempo mi rendo conto che di questo siamo colpevoli anche noi cittadini, avendo delegato ogni volta a rappresentarci partiti trasformati ogni giorno di più in comitati di affari in combutta fra loro. Ma non è troppo tardi per correggere i propri errori: queste elezioni ce ne offrono la possibilità.

Un piccolo quadro della vita quotidiana a Bruxelles: banane corte e cetrioli troppo curvi

Consentitemi un bozzetto di vita quotidiana nella “capitale” dell’Europa

“In un’area di pochi kilometri quadrati, nel cuore di Bruxelles e vicino alle istituzioni europee, hanno i propri uffici fra 15mila e 30mila professionisti di alto livello (avvocati, pubblicisti, “esperti”…) ben remunerati […] che in gran maggioranza rappresentano e difendono i grandi poteri economici e sociali dell’Europa e del mondo. In totale sono presenti più di 1.500 lobbies industriali e varie centinaia di uffici di consulenza per “affari pubblici”, oltre agli uffici delle 500 grandi multinazionali che dispongono di un servizio proprio di sponsorizzazione a Bruxelles.”

Il loro compito è quello di orientare, quando non di preparare, le minute delle leggi che la grande tecnocrazia dell’U.E. promulga, sui grandi temi come sui più minuti, sfociando talora nel ridicolo: il diametro minimo e massimo dei piselli commerciabili, la lunghezza minima delle banane, l’incurvatura massima ammessa per i cetrioli, e così via. E’ facile immaginare che solo una grande industria può dotarsi dell’impianto di selezione automatica dei piselli secondo il diametro o di misura della curvatura dei cetrioli, mettendo fuori gara i piccoli produttori. Per 2 minuti di relax prima di proseguire vedi “La direttiva Ue sulla curvatura del cetriolo compie 25 anni”

Anni fa qualcuno tentò di sollevare il problema degli alti funzionari dell’U.E. che dopo aver legiferato in settori importanti, finivano successivamente assunti dalle imprese sottoposte alle normative emanate. Disegnate su misura? Per commissione? Chi sa?

Verso le elezioni

Quelli in alto, visto la protesta che cresce, sono preoccupati dell’esito del voto e stanno sparando tutte le loro cartucce facendosi il segno della croce. Il messaggio che diffondono è: la crisi è ormai superata, la Grecia dopo 8 anni ha visto il PIL ricrescere (uno 0,6% tutto artificioso e comunque da rapportare al 25% perduto dal 2008 per cui per tornare con questo ritmo ai livelli pre-crisi occorreranno solo 40 anni!), il Portogallo è tornato a finanziarsi sul mercato, il nostro spread mai così basso da anni, e la gente, nel lungo ponte di maggio, è tornata a spendere. E così via. Ah, dimenticavo fra gli assi nella manica gli 80 euro di Renzi.

Ma il diavolo sta nei dettagli e i dati del PIL del primo trimestre, sia a livello europeo che nazionale, hanno mostrato che le bugie hanno le gambe corte. Panico.

Il voto del 25 maggio

Beh, il discorso è complesso e la sintesi necessariamente brutale. Chiedo scusa. Sembra certo che cresceranno gli “euroscettici” (radicali, moderati o buonisti). Quanto? Fino a conquistare il 30% dei seggi, si dice. Che succederà? Quasi niente. Il Parlamento, lo abbiamo detto all’inizio, non ha poteri reali. Un 30% frazionati fra euroscettici di destra e euroscettici di sinistra, e questi a loro volta divisi al proprio interno fra “no-euristi” e “trattativisti”. In ogni caso l’antidoto è già pronto: la “grosse koalition” dei “socialisti” (Schultze) + i “popolari” (Junker) con verdi e liberaldemocratici di riserva.

Qualche buffetto sulle guance degli euroscettici moderati (quelli che pensano di essere abbastanza forti da trattare ma che, non avendo letto L’arte della guerra di Sun Tzu, hanno annunciato già prima la loro mossa: “non usciremo né dall’UE né dall’euro” spuntando così la loro lancia). Forse verrà concessa qualche commissione di studio coi soliti “esperti” (chi la nega, una commissione di studio?), per tirare le cose alle lunghe e poi, all’improvviso, zac, due sorpresine già cucinate e rinviate diplomaticamente al dopo-elkezioni: il TTIP e l’ERF.

Oh mamma, di nuovo con le sigle!. E che sono? Sarebbe impietoso chiedere alla maggioranza degli elettori, già traumatizzati dal ricordato universo di sigle e di inglesismi, di andare a votare sapendo che sono il TTIP o l’ERF. Per i forti di spirito però ci proviamo.

Il TTIP (Trattato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti) allineerà molte, anzi tutte le legislazioni europee a quelle statunitensi, per facilitare il commercio e gli investimenti. Così addio alle restrizioni sulle importazioni di carne agli ormoni o di prodotti transgenici dagli Stati Uniti e dintorni. Come pure alle normative ambientali, ai diritti dei lavoratori etc. “Come ammettono anche i funzionari delle due parti, lo scopo primario del TTIP non è di stimolare gli scambi attraverso l’eliminazione delle tariffe fra l’UE e gli USA poiché queste sono già a livelli minimi. Il fine principale del TTIP è, come essi stessi confermano, l’eliminazione di “barriere” normative che limitano i profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali a est e a ovest dell’Atlantico”[1]. Naturalmente ci sarà un tribunale internazionale e sovranazionale per risolvere eventuali vertenze, tipo il CIADI, il tribunale “privato” della Banca Mondiale. Secondo quali criteri opererà? Una delle recenti sentenze di questo tribunale “privato”, cui gli stati dovranno sottostare, ha condannato il governo uruguayano a pagare alla Philips Morris un indennizzo di 2 milioni di $ per avere scritto sui pacchetti di sigarette “nocive alla salute”, spaventando i compratori e quindi danneggiando le vendite. Per saperne di più vedi ad es. Lori Wallach.

L’ERF, ovvero il Fondo di Redenzione del Debito (ironia dei nomi!). Una commissione europea, in cui non è stato incluso alcun italiano, è al lavoro e ha già pronto il piatto avvelenato. I paesi con rapporto debito/pil superiore al 60% depositeranno questa eccedenza in un fondo comune europeo impegnandosi a pagarlo alle scadenze fissate. Beh, ma non è il Fiscal Compact? Proprio no. Intanto perché dovremo consegnare una garanzia reale pari al 20% dell’eccedenza (oro della Banca d’Italia, ipoteca sul Colosseo, o che altro…?).

Ma non basta. Dovremo consentire che l’ammontare delle scadenze eventualmente non pagata (“non onorate”, in gergo) venga prelevato automaticamente e prioritariamente dalle entrate fiscali del paese, che andranno così direttamente all’ERF senza passare da Roma. Come a “monopoli”. Non vi sentite un po’ schiavi incatenati? Volete saperne di più? Leggete Claudio Borghi Aquilini

Però uscire dall’euro è terrorizzante! Restiamo, restiamo!

Resterebbe da riflettere sul problema della sudditanza militare dell’UE agli Stati Uniti tramite la NATO, che ci porterà forse un giorno non lontano a scontrarci militarmente con la Russia e poi con la Cina. Ma sto andando oltre.

Voglia o non voglia, queste elezioni hanno una forte valenza anche italiana. Cerchiamo di capirla.

Scenari

Non auspico un nazionalismo sciovinista bensì il ritorno a una sovranità nazionale dignitosa e responsabile. Questa Unione Europea non lo consente e sta distruggendo l’idea stessa di Europa per lungo tempo.

Mi obiettano: ma uscire dall’euro tornando alle monete nazionali riscatenerebbe la concorrenza a oltranza fra gli Stati. Rispondo: in realtà la concorrenza selvaggia fra gli stati dell’U.E., se non sono orbo, la hanno scatenata proprio il Trattato di Lisbona e l’euro. Del resto il problema di stabilire una concorrenza regolata e non sfrenata l’aveva risolto lo SME, il Serpente monetario europeo, che dal 1979 al 1998, cioè per ben 19 anni, ha regolato onorevolmente i rapporti di competitività fra gli stati aderenti. Un po’ di economisti, ultimo l’artefice italiano dell’adesione all’euro, Romano Prodi, praticano svergognatamente il terrorismo disinformativo. Ci fosse “un giudice a Berlino” (Bertold Brecht) dovrebbe occuparsene per false comunicazioni sociali,

no?

Come detto non credo che la nuova configurazione del Parlamento europeo cambierà molto lo stato attuale delle cose. Quello che non accadrà a Bruxelles potrebbe però accadere a livello di uno o più dei tre stati più forti dell’U.E. dopo la Germania.

Il Front National di Marie Le Pen in Francia, l’UKIP di Nigel Farage in Gran Bretagna e l’M5S di Grillo in Italia sono accreditati oggi tutti intorno al 25%, ma con possibilità di recupero nell’ampio bacino degli indecisi e soprattutto di quelli orientati al non voto.

Se uno o più di loro arrivasse al 30% potrebbe diventare il primo partito a livello nazionale, e questo potrebbe cambiare lo scenario delle relazioni all’interno dell’Europa. L’Inghilterra, dove gli euro-tiepidi sono numerosissimi, potrebbe essere spinta a “navigare verso l’oceano” (Churchill), quello atlantico. In Francia il traballante Hollande potrebbe essere costretto a chiedere all’UE di ritrattare molte cose, come la sua situazione economica sembra ormai esigere.

E in Italia?

Un 30% a Grillo significherebbe un testa a testa con Renzi e il conseguente abbraccio di questi con Forza Italia potrebbe non essere sufficiente a evitare le elezioni anticipate, e comunque a prendere le distanze dalla Germania. E l’incrinatura di questa Unione Europea potrebbe diventare una crepa progressiva, tanto da costringere a demolire il caseggiato pericolante e a ricostruirne da capo uno nuovo, avendo fatto tesoro degli errori fatti.

Ora sono fermamente convinto che in Italia sia necessario un cambiamento radicale. Innanzi tutto un risveglio etico che spazzi via una rete di interessi consociativi profondamente radicati. Leggere l’editoriale in prima pagina de Il fatto quotidiano di ieri domenica 18 maggio è impressionante: un lungo elenco di politici quasi di ogni tinta coinvolti in fatti giudiziari. Il caso Expò lo dimostra ma è solo una finestra aperta fra le tante ancora chiuse. Ho detto “quasi” perché non ci sono personaggi “a cinque stelle” coinvolti.

In politica non esistono verità assolute né certezze, ma valutazioni ponderate. Non sono un fan di Grillo, molti suoi atteggiamenti non mi piacciono, e spesso neppure il suo linguaggio. Ma faccio una valutazione politica del M5S.

Chi altri se non il M5S può avere oggi in Italia la forza morale e i numeri necessari per una azione decisa contro il malaffare politico/economico? Un qualificato collaboratore di Enrico Berlinguer ha dichiarato sabato che il M5S è il legittimo erede della sua “questione morale”. Gli sono state rovesciate addosso molte critiche ed è sottoposto alla disinformazione più vergognosa, ma nessuno ha potuto negare che i suoi parlamentari siano persone per bene. Come i suoi “militanti”.

Magari inesperti di politica. Ma mi pare stiano crescendo, e mi risulta che anche alla base ci sia un forte impegno per crescere nella consapevolezza dei problemi. Uno dei miei maestri di vita mi ha insegnato che in politica occorre guardare e valutare soprattutto i processi in corso più che i fatti presi a se stanti. Un movimento che è cresciuto così tanto in tempi così brevi non può essere “nato imparato”. E ha condotto ad oggi una vera opposizione anche se con talune contraddizioni, dimostrandosi però capace di correzioni. In verità anche sulla UE emerge qualche contraddizione. Seguiamone però la crescita con attenzione, con spirito critico certo, e costruttivo, ma non malevolenza.

Altra considerazione. Si è detto che il M5S rappresenta l’antipolitica. Falso. L’antipolitica è rappresentata da chi ha disgustato milioni e milioni di elettori, non chi ne ha recuperata una gran parte portando in Parlamento persone nuove, gente comune, che ha una faccia e un linguaggio comuni, come la maggioranza dei cittadini, che possono capire quello che loro dicono. Nagel e Le Pen porteranno nel parlamento europeo un’ondata di rappresentanti dell’estrema destra. La sinistra europea, dimentica che l’essenza del socialismo è la “giustizia sociale” (Teodor Shanin), non ha saputo intercettare la protesta che monta.[2] Se in Italia la Lega non si è unita a questo preoccupante processo, lo dobbiamo al M5S. O no?

E la lista Tsipras? mi si obietterà. Leggo sul web “ Ecco perché voto Tsipras. 12 risposte alle obiezioni più frequenti”. Risposte deboli e contraddittorie. Non mi ci soffermo. Ritengo che questa lista abbia il fiato corto e una vita non lunga. Nata in fretta, mi ricorda un po’ la nascita della Sinistra Arcobaleno e successivamente della Lista Ingroia[3]. Ha al suo interno anime disomogenee. Afferma di essere una lista non partitica e di avere, al contrario del M5S, una rete di alleanze europee. La prima è vera a metà. Circa le alleanze europee sono tutte con partiti della sinistra, altrettanto disomogenei e minoritari, con progetti unitari sempre disattesi.

Ho già detto che penso che i cambiamenti relativi alla UE, se verranno, non verranno dalla composizione del parlamento europeo (salvo sorprese al momento improbabili) ma da tre nuove situazioni nazionali, fra cui quella italiana. Cambiare la nostra situazione interna italiana è anche contribuire a cambiare quella dell’attuale U.E.

Non credo che a livello italiano la lista Tsipras avrà un peso significativo, pur superando, come gli auguro, la soglia di sbarramento, come pure mi auguro che risultino eletti i suoi nomi migliori. La speranza alla mia età di vedere, prima di morire, spazzata via una classe politica meno che mediocre e più che corrotta, viene dal M5S. Speranza ho scritto, e ragionata, ma non certezza. E’ invece certo che chi ha governato il paese negli ultimi anni e continua a governarlo completerà il disastro già portato a buon punto. Per cui ogni possibilità di fermarli realmente, è benvenuta.

Aldo Zanchetta 8.05.14

POST SCRIPTUM

Un aiuto alla memoria: la svendita dell’Italia (che un forte successo del M5S potrebbe fermare?)

L’intrepido governo Renzi deve compiere la sua missione prima di essere spodestato e perciò prepara in fretta il completamento dello smantellamento delle società pubbliche italiane. Non è un’ipotesi: Poste e Enav già annunciate, Finmeccanica, Eni, Ferrovie riconfermate ieri dal trombettiere Padoan.

Un ripasso della svendita del paese può essere utile.

La svendita iniziò il 2 giugno 1992 con l’incontro sul Panfilo Britannia ancorato al largo di Civitavecchia, ospitante la Regina d’Inghilterra. Invitati italiani: Draghi, allora direttore generale del Tesoro, Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, Beniamino Andreatta, Carlo Galli e un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassone americana (Barclays, Warburg, azionista della Federal Reserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla Goldman ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani. Favole? Accreditate, dopo anni, anche da Il Sole/24 h.[4] Chi sono gli “incappucciati dell’economia” che hanno dissipato patrimonio pubblico dell’Italia. I nomi e cognomi sono scritti a chiare lettere in molti libri in commercio[5]: Romano Prodi, Carlo Azelio Ciampi, Giuliano Amato, Mario Draghi…

Romano Prodi all’IRI ( 1982-1989 e 1993-1994) cede a privati 29 aziende del gruppo fra cui l’Alfa Romeo, liquida Finsider, Italsider e Italstat. Di infausta memoria la discussa svendita SME. In questo Prodi fu ben aiutato da Mario Draghi Direttore generale del Tesoro (1991-2001) e Presidente del Comitato Privatizzazioni (1993-2001). Nel 1997, con Prodi, ora presidente del consiglio, è la volta della Telecom, presieduta da Guido Rossi, azienda fiorente ceduta a “capitani coraggiosi” (D’Alema dixit) che la hanno spolpata. Romano Prodi: secondo il Daily Telegraph è stato sul libro paga della Goldman una prima volta tra il 1990 e il 1993 e poi di nuovo dopo il 1997.

Un posto d’onore nella svendita del paese va riservato però anche a Ciampi e all’immarcescibile Amato.

“Ah, i privati, quelli sì che sanno gestire l’economia!”. Un altro mito da sfatare. L’anno prima era stata privatizzata Alitalia. Questa volta poi ci mise successivamente mano anche il governo Berlusconi (2008) completando il disastro che in questi giorni conclude ingloriosamente la “italianità” dell’azienda.

Mario Draghi tra il 2002 e il 2005 è stato vice presidente della Goldman Sachs International. Nel 2005 la Goldman Sachs dette alla Grecia gli strumenti finanziari indispensabili per nascondere i debiti e entrare nell’euro. (Da Le Monde)

(Altri noti “impiegati” italiani della Goldman: Mario Monti, Gianni Letta)

SECONDO POST-SCRIPTUM

Tutto il dibattito sulla situazione è comunque viziato da una omissione fondamentale: il fatto che la “crescita” è finita, mentre invece domina l’assunto che, per uscire dalla presente situazione, occorre ritrovare la crescita. Forse c’è ancora spazio per una “crescitina” artificiosa, roba per un pugno di anni. Ma nulla di più. Occorre trovare nuovi paradigmi culturali, sociali, ambientali. Cioè una rivoluzione nel pensiero. In questo forse il M5S ha qualche possibilità in più di altri. Ma è un discorso inagibile in tempi di elezioni.

_____

[1] John Illary “Il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti”, marzo 2014. A cura dell’Ufficio di Bruxelles del Rosa Luxemburg Stiftung.

[2] Sull’ascesa dell’estrema destra in Europa vedi: Ignacio Ramonet, ¿Por qué sube la extrema derecha en Europa?

[3] Una piccola digressione personale. Il mio sdegno per il meschino progetto della Sinistra Arcobaleno mi costò alcune amicizie. Altrettanto accadrà ora con questa presa di posizione. Amen.

[4] Debora Billi, “Il Sole 24 Ore sdogana il Britannia” del 15 settembre 2011

[5] Bruno Amoroso L’Euro in bilico. Lo spettro del fallimento e l’ inganno della finanza globale (2011), pag 75 e segg.; Nino Galloni Chi ha tradito l’economia italiana? Come uscire dall’emergenza; Giulio Sapelli L’inverno di Monti. Il bisogno della politica. Etc

un comunicato urgente del movimento NO-TAV:

COLPEVOLI DI DIFENDERE LA NOSTRA TERRA E I BENI COMUNI.

CHIEDIAMO A TUTTI UN APPOGGIO E UNA SOLIDARIETA’ CONCRETA.

Il tribunale ordinario di Torino, sezione distaccata di Susa, in data 7/1/2014 depositata in data 14/1/14 ha sentenziato: “dichiara tenuti e condanna Alberto Perino, Loredana Bellone e Giorgio Vair, in solido tra di loro, al pagamento a parte attrice [LTF] di euro 191.966,29 a titolo di risarcimento del danno;” oltre al pagamento sempre a LTF di euro 22.214,11 per spese legali, per un importo totale di euro 214.180,40. La causa civile era stata intentata da LTF perché a suo dire gli era stato impedito di fare in zona autoporto di Susa il sondaggio S68 la notte tra l’11 e il 12 gennaio del 2010. I sondaggi S68 e S69 erano inutili e infatti non sono mai stati fatti né riproposti sia nel progetto preliminare sia nel progetto definitivo presentato per la tratta internazionale del TAV Torino – Lyon.

Quella notte, all’autoporto centinaia di manifestanti erano sulla strada di accesso all’area per impedire l’avvio del sondaggio. La DIGOS aveva detto che non sarebbero arrivate le forze di polizia per sgomberare il terreno dai manifestanti ma che sarebbero venuti gentilmente a chiedere di poter fare il sondaggio, se avessimo rifiutato se ne sarebbero andati. E così avvenne.

Poi si scoprì che era una trappola per tagliare le gambe ai NO TAV con una nuova tecnica: richiesta di danni immaginari per centinaia di migliaia di euro a carico di qualche personaggio del movimento.

LTF aveva nascostamente stipulato un contratto di utilizzo di due aree di circa 150 mq cadauna, mai registrato, con la CONSEPI spa, che vantava un diritto di superficie sull’area di proprietà del comune di Susa per una cifra completamente folle: 40.000 euro per i primi quattro giorni e 13.500 euro al dì per i giorni successivi per un totale dichiarato di 161.400 euro IVA compresa. Questo contratto serviva solo per gonfiare i costi e quindi la richiesta di danno. In merito la CONSEPI SPA nella relazione di bilancio 2010 scriveva testualmente:

“Si tratta di una vicenda a tutti ormai ben nota e che risale ad un periodo nel quale l’attività dei corsi di guida sicura di Consepi, rivolti soprattutto ai ragazzi neopatentati erano al amassimo del loro svolgimento.”  ….“La Società interpellata dalla stessa Prefettura oltre che da LTF, fece chiaramente presente tali considerazioni chiedendo un rinvio di qualche settimana dei sondaggi, rimarcando il fatto che se questi fossero stati procrastinati l’onere per LTF sarebbe stato di gran lunga inferiore a quelli che contrattualmente si assumevano.”  …. “L’onere sopportato da LTF deriva pertanto dal fatto che quest’ultima e la Prefettura, nonostante le esplicite richieste di rinvio di Consepi, sono state irremovibili sulle date dei sondaggi.

Infatti LTF aveva stipulato con la CONSEPI, in violazione di ogni principio di buon andamento della gestione dei fondi pubblici, una scrittura privata per accedere ai predetti terreni, sborsando ben 161.400 euro alla stessa CONSEPI per avere in concessione un terreno di pochi metri quadrati già oggetto di una autorizzazione amministrativa per occupazione temporanea a costo quasi zero, come prevede la legge italiana sugli espropri ed occupazioni temporanee.

Il fatto che sia del tutto ingiustificata la somma pagata da LTF a CONSEPI è sancita in modo inequivocabile anche dalla Commissione Europea che, come confermato dall’OLAF (Ufficio antifrode europreo) rispondendo ad una nostra segnalazione in merito, con la lettera Prot. N° OF/2010/0759 in data 29/10/2013 affermava che “La Commissione Europea non ha pagato le spese in quanto non ammissibili”

Il fatto che tutta l’inutile campagna di sondaggi di inizio 2010 fosse solo un colossale bluff per dire all’U.E. che i lavori erano iniziati, è testimoniato dal fatto che dei 34 sondaggi previsti ne furono effettuati soltanto 5 per una lunghezza complessiva di metri lineari 243 rispetto ai 4.418 metri lineari previsti.

 

Ora gli avvocati del movimento presenteranno appello, ma essendo una causa civile, se LTF pretende il pagamento immediato, occorrerà pagare al fine di evitare pignoramenti o ipoteche sui beni delle tre persone condannate al risarcimento.

Il MOVIMENTO NO TAV non ha le possibilità economiche per fare fronte a queste pretese. Tutto questo è stato concertato e messo in atto solo al fine di stroncare la nostra lotta.

Non a caso sul quotidiano “La Stampa” del 22 settembre 2010, poco prima dell’inizio della causa, si leggeva “Il ricorso alla causa civile contro i No Tav potrebbe così diventare uno strumento di dissuasione che i soggetti incaricati della progettazione o dell’esecuzione dei lavori potrebbero utilizzare per contenere la protesta”.

Il MOVIMENTO NO TAV sta già sostenendo un pesantissimo onere per le difese legali, a cui si aggiunge questa batosta tremenda, che da solo non può sopportare. Per questo, con molta umiltà, ma altrettanta dignità e fiducia,  chiedea tutti quelli che ci dicono: “Non mollate!”, “Siete l’unica speranza di questo Paese”, “Resistete anche per noi” di dare un concreto appoggio aiutandoci economicamente in modo che possiamo resistere ancora contro questo Stato e questi Poteri Forti e mafiosi che ci vogliono per sempre a cuccia e buoni.

Ci sono più di 400 persone indagate per questa resistenza contro un’opera imposta, inutile e devastante sia per l’ambiente sia per le finanze di questo Stato e che impedisce di fare tutte le altre piccole opere utili.

ANCHE UTILIZZANDO QUESTI SPORCHI MEZZI NON RIUSCIRANNO A FERMARE LA RESISTENZA DEL POPOLO NO TAV.

Aiutateci a resistere, grazie.

MOVIMENTO NO TAV

 

I contributi devono essere versati esclusivamente sul conto corrente postale per le spese legali NO TAV  n.1004906838 – IBAN – IT22L0760101000001004906838  intestato a Pietro Davy 

Pubblicato da: CR | 8 febbraio 2014

A che gioco gioca il vertice del M5S?

Alla forte opposizione parlamentare del M5S al decreto IMU-Bankitalia si è immediatamente sovrapposto il vertice del movimento. Casaleggio si è impegnato in prima persona nella presentazione dell’impeachment di Napolitano, che tanti dubbi suscita all’interno dei gruppi parlamentari, sia di metodo che di merito. Grillo ha postato sul proprio profilo di facebook il video (in realtà simpatico e molto educato) del dialogo in auto con la Boldrini apponendovi il famoso titolo “cosa fareste in auto con la Boldrini?” che ha scatenato la fantasia dei graffitari del web. Messora, portavoce ufficiale (nominato da Grillo), ha culminato rispondendo con l’altrettanto famoso “tu non corri pericolo” alla Boldrini che, visibilmente alterata, aveva accusato i lettori del blog di Grillo di essere potenziali stupratori.

D’altro lato, Grillo si è adoperato per calmare i deputati sovreccitati per la battaglia scatenata in aula e nelle commissioni.

Ma anche quest’ultimo intervento, senz’altro positivo, va inquadrato nel contesto di un’opera di deragliamento del dibattito condotta da un vertice che mal sopporta il protagonismo dei deputati, che invece dal canto loro stanno crescendo e cominciano ad incidere seriamente nel confronto pubblico.

Gli iscritti sono dalla parte dei parlamentari, a giudicare dall’importantissima votazione a favore dell’abrogazione del reato di immigrazione clandestina. Importante perché avvenuta in aperto dissenso con la posizione di Grillo, che aveva platealmente redarguito i deputati per la posizione che avevano preso su questo tema. E perché avvenuta contro quello i media ci impongono di credere sia un “comune sentire”, e in favore invece di un sentimento di solidarietà e di umanità senza il quale non c’è speranza di ricostruire nulla nel nostro paese.

Tutto il gran rumore che si è fatto nei media riguardo lo “stile” del M5S è stato condizionato da questo interventismo goliardico del vertice, rischiando di far perdere di vista il vero dato politico, e cioé che per la prima volta dopo decenni abbiamo in parlamento un’opposizione in grado di costringere il paese a discutere, e i media a raccontarci (almeno a mezza bocca) cosa stanno votando veramente i nostri rappresentanti.

Il goliardismo è presente nel M5S a tutti i livelli, ma il centro irradiatore è proprio il vertice. Spero avvenga una maturazione. Sempre che non vi siano dei motivi precisi perché non si vuole che questo avvenga.

Tutt’altra questione quella del “rispetto delle istituzioni” invocato da tutte le parti, che come ho già detto altrove altro non sarebbe che il rispetto per il teatrino della politica.

Un convegno con Valerio Romitelli, interessante e attuale, al quale andrò.

14 febbraio 2014 – Bologna, Piazza S. Giovanni in Monte, 2 – Aula Gambi, Dipartimento di storia, culture, civiltà

Di cosa è fatta la politica? Per quello che se ne dice oggi si tratta comunque di persone e della loro capacità di consenso, cooptazione, comunicazione oppure protesta. C’è, ci potrebbe o ci dovrebbe essere qualcos’altro? Fino a trent’anni fa c’erano i partiti di “massa”, ma anche gruppi extraparlamentari, che con le loro organizzazioni davano corpo ad idee politiche riguardanti il mondo, l’avvenire e la giustizia sociale. Nel nostro tempo, invece, se si parla ancora di organizzazione politica se ne parla soprattutto come relazione immateriale. I suoi soggetti sarebbero movimenti di “democrazia diretta” o “antagonistica” oppure quei frammenti di partiti che si sostengono l’un l’altro in nome della “governabilità” richiesta dai “mercati”. Resta che crisi economica e corruzione politica imperversano, mentre a mancare non sono né diagnosi né terapie, ma proprio i soggetti collettivi in grado di somministrarle. Come potrebbero riunirsi e organizzarsi?

mattina – ore 9.30
Valerio Romitelli, Università di Bologna: introduzione
Pierfranco Pellizzetti: “Il paradigma hub&spoke, dopo il catch-all party e lo star system”
Fabio Raimondi: “Organizzare politicamente il lavoro nell’era della globalizzazione capitalistica. Alcune questioni”
Lorenzo Mosca: “Internet come strumento organizzativo dei 5 Stelle”
Dibattito

pomeriggio – ore 15.00
Diego Melegari, Centro Studi Movimenti Parma: introduzione
Carlo Formenti: “L’organizzazione politica di classe fra crisi della rappresentanza e ritorno alle origini”
Damiano Palano: “La maschera di Lenin. Il rompicapo dell’organizzazione e l’enigma della composizione politica”
Stefano Calzolari: “Nostra compagna estranea: la politica dopo il tempo della classe”
Augusto Illuminati: “Agende e memoria dei movimenti”
Dibattito

OrganizzarsiInPolitica-LOCANDINA

Pubblicato da: CR | 2 febbraio 2014

Boldrini alza il livello dello scontro

Mentre Grillo si adopera per abbassare i livelli di adrenalina dei suoi deputati, Boldrini getta benzina sul fuoco. Quello del M5s, dice, “è un attacco eversivo contro le istituzioni che deve essere respinto da tutte le forze democratiche. Alla Camera c’è gente che lavora seriamente per cambiare le cose dal di dentro, e questo non può essere distrutto”. Il M5S, aggiunge la presidente della Camera, “non sa utilizzare gli strumenti democratici, messi a disposizione dell’opposizione dalla Costituzione. Devono imparare.”

Vediamo invece cosa ha da imparare la Boldrini.

1) “Gli strumenti democratici messi a disposizione dell’opposizione dalla Costituzione”: per la Costituzione, il decreto su Bankitalia non doveva nemmeno esistere, non essendo né necessario né urgente. E tantomeno poteva essere abbinato al decreto sull’Imu, trattandosi di materie totalmente eterogenee. L’ostruzionismo ha una antica e per certi versi gloriosa tradizione parlamentare, la “ghigliottina” no. Neanche esiste nel regolamento della Camera, quella della Boldrini è stata una decisione senza precedenti. La Boldrini, come presidente della Camera, dovrebbe protestare contro l’uso sistematico della decretazione d’urgenta da parte del governo, anziché fargli da sponda anche in situazioni indifendibili. Il M5S cosa dovrebbe studiare, la Costituzione e i regolamenti o le innovazioni del Boldrini-pensiero?

2) “Alla Camera c’è gente che lavora seriamente per cambiare le cose dal di dentro”: certo, c’è il M5S, che ha voluto e imposto la discussione su un decreto così importante e che si voleva far passare alla chetichella. Dall’altra, c’è un Parlamento su cui è calato un accordo Renzi-Berlusconi accompagnato da un minaccioso “prendere o lasciare”.

La Corte Costituzionale aveva bocciato il Porcellum per due motivi: l’impossibilità per i cittadini di scegliere i propri rappresentanti, e l’eccessivo peso dato al premio di maggioranza rispetto al principio rappresentativo. E cosa si ritrova il Parlamento ora? Una proposta che non prevede preferenze e che stravolge il principio rappresentativo ancor più pesantemente della legge precedente.

Di nuovo, la Boldrini si mostra supina di fronte alle richieste che le giungono “dall’alto”: ha avallato l’approvazione-lampo con cui la commissione Affari costituzionali ha mandato il provvedimento in aula, nonostante la Costituzione escluda il ricorso a procedure d’urgenza in materia elettorale; e sicuramente avallerà il sopruso della controriforma Renzi-Berlusconi ai danni del principio rappresentativo sancito dalla Costituzione.

3) “ un attacco eversivo contro le istituzioni”: che dire, su questa enormità? forse solo che la Boldrini ha un ego smisuratamente gonfiato, tanto da confondere la difesa della propria immagine con quella delle istituzioni. E’ chiaro che la sua storia è avvenuta fuori dalla politica, è una brava funzionaria, e vorrebbe ricevere solo complimenti per la solerzia con cui assolve ai compiti affidatigli “dall’alto”; non ha capito che come  presidente della Camera deve tutelare innanzitutto le prerogative e la libertà di dibattito di tutti i deputati, anche e soprattutto contro il governo.

Insomma, è della stessa pasta di Napolitano. Sono, e si sentono, governatori della colonia-Italia. Per loro quella del M5S è solo una “rivolta di indigeni” da domare.

(ecco il link all’intervista televisiva in cui la Boldrini perde la testa)

Pubblicato da: CR | 2 febbraio 2014

Contro il teatrino della politica, entra in scena il M5S

L’aggressione alle nostre società si svolge lungo due direttrici. Da un lato la Grande Rapina dei ricchi ai danni dei poveri, dall’altro lo smantellamento degli strumenti di governo capaci di porre argine – se un giorno tornassero in mano a forze democratiche – a tale saccheggio. La riforma della Banca d’Italia, incastonata nel decreto sull’Imu, è una tappa su entrambi fronti.

Merito dei deputati del M5S aver impedito che tale ennesimo scempio avvenisse, come al solito, nel silenzio e l’indifferenza.

Qualcosa di nuovo sta prendendo forma nella politica del paese. Prima le consultazioni su due temi estremamente “sensibili”, che hanno visto la grande maggioranza degli iscritti del M5S schierarsi per l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e a favore del proporzionale, poi l’ostruzionismo e la protesta in aula contro il decreto Imu – Banca d’Italia e contro la “ghigliottina” calata sul dibattito parlamentare. I deputati del M5S, insieme agli iscritti, stanno crescendo, stanno costruendo una piattaforma democratica partendo dai temi più critici dello scontro politico.

Il M5S ora è oggetto di una vergognosa aggressione mediatica. Repubblica, il Corriere della Sera, ecc riescono a dedicare pagine intere allo “stile” dei deputati del M5S senza mai nominare la Banca d’Italia, come se l’assalto ai banchi del governo fosse avvenuto durante il tè pomeridiano.

Si parla di fascismo, ma alla fine l’unica picchiata è stata la deputata M5S Loredana Lupi, colpita dal questore di Scelta Civica Dambruoso, che ha il coraggio di parlare di “violenza mai vista in aula” (falso, tra l’altro).

A me sembra che la reazione dei deputati del M5S sia stata adeguata alla provocazione ricevuta (l’aver incastonato nel decreto sull’IMU anche la privatizzazione della Banca d’Italia, né necessaria né urgente, oltreché assolutamente eterogenea come contenuto, e il rifiuto del governo di separarli per “motivi tecnici”) e alla posta in gioco per il paese.

L’accusa principale che si muove al M5S è quella di mancato rispetto per le istituzioni. Ridicolo. Costituzione e Parlamento sono svuotati e umiliati da anni, e il ceto politico non se ne preoccupa affatto: un sistema consolidato di governo attraverso la decretazione d’urgenza, un accordo di riforma elettorale Renzi-Berlusconi tetragono alle osservazioni della corte Costituzionale e calato sul Parlamento con l’intimazione di non modificarlo se no crolla tutto, la rielezione di Napolitano per impedire che il Parlamento votasse a maggioranza semplice Rodotà, ecc.

E che dire di Enrico Letta, capo del governo, che si permette di dare giudizi sul come vengono condotti i lavori in Parlamento? “Troppa tolleranza”! Questo è molto più simile al fascismo, direi.

Quello che è stato messo in gioco piuttosto è la rispettabilità del teatrino che è diventata la politica, da troppo tempo, tra finta alternanza, finte polemiche tra PD e PDL, finte opposizioni, finte emergenze, finte proposte, il tutto preso sempre sul serio dai media di regime. All’improvviso, di fronte ai primi atti di una vera opposizione, che denuncia il vero senso di quanto accade, il teatrino salta, finto governo e finte opposizioni rimangono senza copione, e reagiscono accusando il M5S di fascismo: ultimo rifugio di chi non ha nulla da dire.

links sull’argomento:
– un giudizio sul M5S sulla mia stessa lunghezza d’onda: “Benvenuta bagarre
– sulla Grande Rapina e l’attacco alla sovranità in corso: “Ciao Bankitalia: guai se ridiventiamo un paese sovrano” di Nino Galloni, e “Caso Bankitalia: il regalo alle banche è il meno“, di Aldo Giannuli

Centinaia di partecipanti paganti venuti da tutta Italia, due giorni intensi di interventi su temi economici (e non solo), relatori dagli altri paesi dell’Europa meridionale in crisi come noi: una tappa significativa, nel faticoso percorso che da tante parti si cerca di intraprendere per restituire un futuro al paese. Purtroppo è mancato Frenkel, ma le aspettative sono state lo stesso ampiamente soddisfatte.

Alcune considerazioni riguardo la standing ovation tributata al giovane filosofo Diego Fusaro al termine della prima giornata di lavori, e sulle prospettive di un movimento anti-euro.

Fusaro si è ampiamente guadagnato l’applauso, per un intervento centrato sull’ascesa del “capitalismo assoluto” a danno delle residue forme di “egemonia del politico” rappresentate dagli stati nazionali, svolto con grande erudizione, chiarezza ed efficacia oratoria. La platea ha voluto sottolineare il bisogno di politica che avvertiamo di fronte al crescere di oscure e onnipotenti lobby e burocrazie sovranazionali. E anche un bisogno di “pensiero forte” contro la dilagante marmellata intellettuale, causa ed effetto del continuo uso di retoriche vuote a sostegno di politiche fallimentari.

E però non credo che un nuovo paradigma possa passare per un ritorno a Marx e – peggio – Hegel. Il ’68 si è schiantato su questo errore. Il mutamento antropologico degli anni ’80 è avvenuto nelle macerie lasciate dal ’68. Così come su un piano più ampio, il crollo del movimento socialista internazionale (anche delle componenti riformiste) sotto le macerie dell’Urss è dovuto al fatto che non aveva mai rinnovato i suoi presupposti ideologici, preferendo agitarli (anche senza crederci più) finché avevano un’efficacia demagogica, e abbandonarli pezzo dopo pezzo mano a mano che si rivelavano inefficaci e indifendibili, in un’opera di disarmo che ha condotto all’attuale situazione di dominio totale delle ideologie nemiche, il neoliberismo e il suprematismo Usa, di cui il “sogno europeo” sembra una sintesi “politically correct”. Non si può ricominciare dallo stesso punto come se niente fosse accaduto.

La seconda considerazione riguarda l’orizzonte generale del dibattito anti-euro. Ormai è chiaro che non si tratta di un dibattito economico circa i pro e i contro dell’euro. Quel dibattito è durato poche settimane e si è concluso con la rotta dei difensori delle virtù dell’euro. I veri termini del dibattito ora sono chiaramente politici, ovvero se saremmo in grado o no di autogovernarci fuori “dall’aggancio” all’euro e ai nostri “alleati”.

La questione è la seguente: è possibile una politica indipendente per l’Italia? E se no, la colpa sarebbe del destino generale che coinvolgerebbe gli stati nazionali nell’era di una irreversibile globalizzazione (mistificazione denunciata da Fusaro), o di un destino specifico dell’Italia, antropologicamente condannata ad un esistenza “inferiore” rispetto agli altri stati per carenza di virtù civiche (“autorazzismo” demistificato da Bagnai ne “Il tramonto dell’Euro”, dove ricostruisce la vera storia delle decisioni che ci hanno portato all’attuale situazione, e spiega la vera natura della crisi)?

In gioco c’è la grande aspirazione del Risorgimento: unire l’Italia al concerto delle grandi nazioni moderne. I festeggiamenti per il 150° dell’unità d’Italia forse erano un de profundis, dal punto di vista del ceto politico che ci governa, protagonista del fallimento del progetto repubblicano e propugnatore del commissariamento di fatto dell’Italia ad opera di poteri esterni.

Dobbiamo reagire alla liquidazione di due grandi storie: quella del riscatto dei ceti popolari, e quella dell’Italia come progetto di nazione sovrana. La difesa (e il rinnovamento) di questi due progetti, espressione delle due grandi questioni politiche dell’800, la questione sociale e la questione nazionale, passano oggi (tra l’altro) per la difesa del paradigma keynesiano (compatibile con la politica, la democrazia e lo sviluppo economico) contro quello neoliberista (nemico della politica, della democrazia e dell'”economia reale”). Anche su questo piano dal convegno sono emerse indicazioni.

Luciano Barra Caracciolo, nella parte conclusiva del convegno, dedicata alla presentazione del suo libro importante “Euro o democrazia costituzionale?”, ha spiegato come alla base del pensiero costituzionale moderno ci sia un’idea di democrazia che non può essere ridotta a “procedura”, ma che si fonda invece sul patto sociale.

Cesare Pozzi, professore di economia industriale, nel corso di un intervento di grande respiro, da parte sua ha posto l’esigenza di un progetto industriale, necessario perché un’Italia post-euro possa avere la credibilità necessaria per difendere sulla scena internazionale i propri interessi economici. Credo che questo concetto debba essere esteso ad un progetto politico più generale: un progetto per l’Italia che da un lato esamini senza remore lo stato del paese, dopo decenni di malgoverno democristiano e poi anche di nongoverno neoliberista, e su cui dall’altro raccogliere e organizzare forze sociali e competenze disponibili ad una politica indipendente e rispondente ai nostri interessi collettivi.

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